A Milano c’è chi si batte per non perdere la casa

Lunedì, 17 dicembre 2018

Quando nella primavera scorsa hanno suonato alla sua porta, Adele Gerosa sapeva già chi era. Da qualche giorno i gestori di una società immobiliare contattavano al telefono gli inquilini del suo palazzo per discutere del destino delle loro abitazioni. In alcuni casi, gli immobiliaristi si erano presentati direttamente a casa, cogliendoli di sorpresa.

Gerosa, 86 anni e uno spiccato accento milanese, abita sola al civico 16 di via Paolo Sarpi, nel centro di Milano. “Mi sono trasferita qui 51 anni fa. Sono la più anziana del palazzo”, dice, piegando una tovaglia che ha cucito da sé. “Questa è la mia casa, ma anche il mio ufficio, dove ho lavorato come sarta. Ora vogliono mandarmi via, togliermi il mio quartiere”.

Adele rischia di perdere la casa, e come lei altre ottanta famiglie che abitano in affitto agevolato al Blocco, una serie di appartamenti incastrati tra via Sarpi, via Bramante e via Niccolini. L’ospedale Policlinico, proprietario degli edifici, vuole ristrutturarli e metterli sul mercato a un prezzo più alto. È una delle conseguenze della gentrificazione che da una decina di anni sta interessando il quartiere. Gallerie, coworking e locali di tendenza sostituiscono le botteghe storiche. Cambiano i frequentatori della zona e il valore degli immobili sale. Il Blocco può trasformarsi in una miniera d’oro per i proprietari.

Qualcuno se n’è già andato. Altri, come Adele, rischiano di doverlo fare presto. “Non si può mandare dall’altra parte della città una signora anziana, significa toglierle ogni riferimento”, interviene Patrizia, la figlia. “Siamo davanti alla solita speculazione edilizia”.

Breve storia
Quello intorno a via Paolo Sarpi è un quartiere popolare, conosciuto come borg di scigolatt, che in milanese significa borgo dei venditori di cipolle. Negli anni venti del novecento arrivarono i primi immigrati cinesi, provenienti dallo Zhejiang, per aprire botteghe di tessuti, pelletteria, ristoranti. Negli anni novanta c’è stato un secondo flusso, più numeroso.

L’etichetta “Chinatown” è nata in quel momento. Ma è sbagliata: anche se le attività commerciali di cittadini stranieri sono la maggioranza, il 90 per cento dei residenti è italiano. Negli anni duemila sono cominciate le tensioni, legate all’aumento delle attività commerciali cinesi. Sono nate associazioni che hanno contestato il moltiplicarsi di “attività all’ingrosso gestite in maniera irrispettosa di qualsiasi regola e ordinamento”. La retorica del degrado è entrata in via Sarpi e sono stati chiesti interventi istituzionali. Il comune, soprattutto dopo l’insediamento nel 2006 della giunta di centrodestra guidata da Letizia Moratti, ha risposto con multe e limitazioni degli orari di scarico merci.

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